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Intervista

Luca Finotti

Forbes l’ha definito come ‘il regista dietro ai video fashion virali’. Al Cinemoi Film Festival 2018, ha vinto il premio come ‘Miglior regista’. Nell’ambito di oltre 25 festival internazionali, il suo progetto #WeBelieveInThePowerOfLove è stato portato in scena e premiato. È Luca Finotti, il giovane italiano che, passo dopo passo, ha conquistato il fashion system, grazie alla sua libertà creativa e contemporaneità.

Innanzitutto, quando hai realizzato di voler intraprendere una carriera artistica?

È un lavoro che non si sceglie, ma che ti sceglie: è la voglia di creare e raccontare. Da quando sono piccolo i film sono i miei migliori amici. Crescendo, ho semplicemente capito che, dopo tutto quello che mi avevano dato, avrei dovuto utilizzare i miei studi e la mia volontà per portare alla luce nuove storie, nuovi personaggi, nuove emozioni.

Luca Finotti

Giorno dopo giorno, entro in contatto con molti giovani professionisti, che hanno voglia di lavorare e raccontare nuove realtà. Dal punto di vista produttivo l'Italia tende a investire all'estero o, quando si parla di maxi progetti, nella consulenza dei talenti stranieri, e invece bisognerebbe far crescere i propri talenti, affinché essi portino l’Italia all’estero, facendo conoscere la nostra storia e realtà.

Luca, in che modo hai sviluppato il tuo istinto creativo?

Ho studiato ciò che era già stato fatto e, soprattutto, ho viaggiato e imparato a conoscere la mentalità, le esigenze, gli usi e costumi dei paesi nei quali sono stato ospite. Per raccontare qualcosa, si deve sempre avere la forza e il coraggio di uscire dalla propria ‘comfort zone’, mettendosi in gioco in prima persona. È necessario vivere l’emozione di un luogo per poterla raccontare: è un viaggio dentro di sé per arrivare al tutto. Infine, attraverso la condivisione con gli altri, si può trovare la storia giusta o la risata perfetta, portando un po’ di luce dove talvolta non ce n’è.

Detto ciò, qual è stato il momento più importante della tua carriera?

I momenti più importanti sono stati quelli in cui l’emozione che stavo raccontando si è congiunta con l'emozione che si respirava sul set e che, una volta pubblicato il film, ha raccolto il consenso del pubblico. Quando si crea, quando si è sul set, anche se si ha una linea guida molto precisa di cosa si andrà a girare, si può vedere o sentire qualcosa e la storia può, di conseguenza, prendere una nuova direzione. Si deve solo essere capaci di sentire e cavalcare quel qualcosa, guidando il team verso l'emozione che si desidera trasmettere. Per me i momenti più importanti sono stati quelli in cui ciò che avevo in mente da anni si è realizzato, ed è sempre accaduto sul set. Ad esempio, sul set di Nike, c’è stato un abbraccio, un abbraccio che non solo ha unito due persone, due carriere e due storie, ma che ha anche unito tutto in un solo momento. Forse, è proprio quell’abbraccio a rappresentare il momento più importante, perché la realtà ha superato la finzione.

In che modo descriveresti la tua cifra stilistica?

Mutevole, multiforme, in continua evoluzione. Per essere ‘diretti', si deve riuscire a dire la verità. Per altro, essa non rimane immutata, ma si trasforma con il nostro crescere e cambiare. Detto ciò, spero che ogni progetto sia migliore di quello precedente. È questo che mi motiva ad andare avanti, cercando la foto, l'inquadratura, la luce perfetta. È questo che ci motiva a mettere le cose al loro posto, dove forse neanche pensavamo che potessero stare.

E il tuo look da set?

Pratico e tecnico, ma che omaggi sempre il marchio con il quale sto collaborando. Per raccontare un brand lo si deve indossare, si deve capire quello che prova chi lo crea o indossa. È importante capire il perché sia stato pensato in un determinato modo... si deve entrare nel mondo del marchio. Ciò detto, per scaramanzia, a ogni collaborazione dedico una T-shirt che racchiuda il valore del progetto che intendo realizzare.

Forbes ti ha definito come ‘il regista dietro ai video fashion virali’. Quali sono gli ingredienti necessari a garantire il successo di un video fashion?

Libertà, emozione, contemporaneità e speranza. È necessario raccontare qualcosa che non sia ancora stato detto o fatto, che nessuno, tu compreso, si aspetti. Altrimenti, non si tratterrebbe di un film, ma di una pubblicità.

Hai lavorato per diverse realtà internazionali (fra queste Givenchy, MSGM e Moschino). Qual è l’esperienza che ricordi con particolare affetto?

Tutte, ognuna a modo suo, hanno accompagnato alcuni mesi della mia vita. La vera fortuna è il poter non solo creare qualcosa insieme al committente, ma anche entrare a far parte della sua famiglia, della sua cultura, della sua realtà personale e professionale. S’impara sempre, s’impara a migliorare se stessi e a conoscere altri professionisti. Per me, la soddisfazione più grande consiste nel vedere le persone che mi circondano felici di ciò che stiamo creando: veder accadere ciò che non si aspettavano davanti ai loro occhi è un'emozione indescrivibile.

Nelle campagne Dolce & Gabbana, hai ritratto personaggi del calibro di Bianca Balti e Monica Bellucci. Ciò detto, hai una qualche musa? Un personaggio con il quale ti piacerebbe collaborare?

Nella vita quotidiana, le mie muse sono persone più grandi, con le quali ho la fortuna di confrontarmi ogni giorno. Sono persone che lavorano nella diplomazia, nel giornalismo, nella medicina. Sono persone che non passano il tempo davanti a uno schermo, ma che mi aiutano ad avere sempre una visione reale di ciò che accade nel mondo, di ciò che il mio ‘intrattenimento' deve portare agli occhi di chi, grazie alla nostra creatività potrà ‘rigenerarsi’ prima di tornare al proprio lavoro. Della donna mi affascina il suo essere ‘multitasking’, un attributo naturale mai abbastanza esaltato. Io, nelle donne, ho sempre trovato amore, casa, affetto, comprensione e sopratutto forza... la forza della saggezza e non quella inutile forza egocentrica ed esibizionista. Se il mondo fosse nelle mani delle donne, allora sì che avremmo un mondo migliore.

Hai vinto il premio come ‘Best Director’, al Cinemoi Film Festival 2018, per il video intitolato ‘Versace Manifesto’. Ci parleresti di questo progetto?

‘Versace Manifesto’ è nato dalla collaborazione con la maison italiana Versace. Il progetto è dedicato a un caro amico scomparso un mese prima dell’inizio delle riprese, un amico che ha scritto: "Dobbiamo lottare per i valori nei quali crediamo, finiamola di fare i superficiali e mettiamoci in ‘Mostra’ per ciò che siamo veramente”. Per giorni e giorni, ho ripensato a quelle parole e, a essere sincero, sono ancora parte di me. Sono parole che mi hanno cambiato, che mi hanno dato la forza di portare il progetto verso una direzione narrativa più semplice, ma altrettanto incisiva. Ho sognato che il ‘V sign’, simbolo di vittoria e speranza, diventasse l’emblema dell’”heritage” di Versace, e abbiamo sviluppato la creatività sotto ogni sua forma di espressione, non ponendoci alcun limite: dal linguaggio dei segni alla carezza di un bacio mancato e all’unione fra due persone, un elemento fondamentale in ogni relazione. Non ringrazierò mai abbastanza la famiglia Versace per avermi affidato questo progetto, che è arrivato in un momento in cui poter creare mi ha aiutato non solo a superare una perdita ma anche a rendere omaggio alla poesia del suo essere.

Lavorativamente parlando, hai dei rimorsi o rimpianti?

Assolutamente, sì. Talvolta, per la sensazione che i vari ed eventuali compromessi da accettare non mi avrebbero portato al risultato che avevo in mente, ho rinunciato ancor prima di andare sul set. Questo è un grande sbaglio, perché ogni progetto, finché non è portato a termine, può prendere un’altra direzione, ma non sempre si ha la forza di accettare. Detto ciò, sbagliando s’impara, e spero che le occasioni perse si possano ripresentare.

Se non fossi un regista, cosa saresti?

Il sogno più grande, quello vero, consiste nell’essere Papà. Spero questo sogno si realizzi presto.

Qual è un progetto ancora incompiuto al quale ti piacerebbe dedicarti?

Tanti, tantissimi. Come ogni regista, ho scritto un mio lungometraggio e spero di trovare la giusta produzione con la quale realizzarlo: è una storia bellissima, che mi auguro possa essere vista quanto prima: c’è bisogno di verità.

Cosa sogni per il futuro della scena creativa italiana?

Investimenti e, soprattutto, libertà. Giorno dopo giorno, entro in contatto con molti giovani professionisti, che hanno voglia di lavorare e raccontare nuove realtà. Dal punto di vista produttivo l'Italia tende a investire all'estero o, quando si parla di maxi progetti, nella consulenza dei talenti stranieri, e invece bisognerebbe far crescere i propri talenti, affinché essi portino l’Italia all’estero, facendo conoscere la nostra storia e realtà.

Infine, qual è una domanda che non ti è mai stata fatta e alla quale avresti sempre voluto rispondere?

"Vorrei consigliare ai giovani artisti di puntare sulla positività e di creare film, canzoni, libri, e un intrattenimento in genere che punti non solo al far pensare ma anche al raccontare storie, ritmi e speranze positive. Questo è quello di cui l'America mi ha nutrito e che mi ha dato sempre la forza di ricrearmi e rigenerarmi. Credo che il paese possa cambiare anche grazie a queste a nuove energie, stimoli che possono accrescere la speranza e insegnare sentimenti nuovi, non solo quelli della tristezza, perché il sogno parte proprio da noi e dall'energia che creiamo dentro e attorno a noi.