Giada Biaggi
Con un mix magnetico di humor, intelletto e stile, Giada Biaggi si è fatta strada nel mondo della stand-up comedy e della letteratura. Insieme, abbiamo parlato della comicità in Italia, del suo ultimo libro e del suo rapporto con la moda, esplorando anche le sue ispirazioni creative e aspirazioni per il futuro. Scopri di più su di lei nell'intervista!
È molto interessante come sono cambiate le cose negli ultimi vent'anni e come si è sovvertito il paradigma relazionale tra uomini e donne muovendoci in un universo binario. Trovo affascinante indagare la sfumatura in cui si declina questo ribaltamento.
Come hai scoperto la tua passione per la comicità?
Diciamo che ho deciso di fare la comica quando ho visto questo speciale Netflix su Katherine Ryan, che era questa comedian pazzesca, bionda a cui assomiglio un po' esteticamente. Ho visto questo speciale Netflix, si chiamava Glitter Room. Da lì ho deciso di imitarla.
Quali sono le sfide più grandi che incontri a lavorare nel mondo della comicità in Italia?
Sicuramente è un mondo molto misogino e a maggioranza maschile. La sfida più grande è il fatto che i comici maschi ignorino la tua presenza nel mondo sia in quanto essere sessuale che in quanto essere prettamente cognitivo. Non ti calcolano proprio, non ti seguono neanche su Instagram. Questo è un po' pesante, nel senso che vedo tanta disparità di genere. Siamo davvero in poche donne a fare stand-up comedy, quindi è molto difficile.
Ci racconti un po' del tuo processo creativo quando scrivi uno spettacolo comico o una sceneggiatura? Sei una persona che vive nel caos oppure hai bisogno di ordine?
Per creare ho bisogno di ordine, anche se io sono abbastanza una party girl, una socialite; mi piace andare in giro agli eventi. Però quando scrivo libri o monologhi, mi isolo dalla società: sto chiusa in casa per una settimana, fumo sigarette slim, bevo whiskey giapponese alla sera e resto abbastanza isolata nel mio mondo – e il mio cane diventa il mio principale interlocutore.
Quali sono gli argomenti che trovi più stimolanti da esplorare nel tuo lavoro comico e letterario?
Gli argomenti più stimolanti sicuramente sono il rapporto dei generi, nel senso che è molto interessante come sono cambiate le cose negli ultimi vent'anni e come si è sovvertito il paradigma relazionale tra uomini e donne muovendoci in un universo binario. Questo per me è molto interessante, da affrontare non in maniera didascalica, ma proprio nelle piccole cose: è affascinante la sfumatura in cui si declina questo ribaltamento del rapporto dei generi.
Come hai scoperto la tua passione per la comicità?
Diciamo che ho deciso di fare la comica quando ho visto questo speciale Netflix su Katherine Ryan, che era questa comedian pazzesca, bionda a cui assomiglio un po' esteticamente. Ho visto questo speciale Netflix, si chiamava Glitter Room. Da lì ho deciso di imitarla.
Quali sono le sfide più grandi che incontri a lavorare nel mondo della comicità in Italia?
Sicuramente è un mondo molto misogino e a maggioranza maschile. La sfida più grande è il fatto che i comici maschi ignorino la tua presenza nel mondo sia in quanto essere sessuale che in quanto essere prettamente cognitivo. Non ti calcolano proprio, non ti seguono neanche su Instagram. Questo è un po' pesante, nel senso che vedo tanta disparità di genere. Siamo davvero in poche donne a fare stand-up comedy, quindi è molto difficile.
Ci racconti un po' del tuo processo creativo quando scrivi uno spettacolo comico o una sceneggiatura? Sei una persona che vive nel caos oppure hai bisogno di ordine?
Per creare ho bisogno di ordine, anche se io sono abbastanza una party girl, una socialite; mi piace andare in giro agli eventi. Però quando scrivo libri o monologhi, mi isolo dalla società: sto chiusa in casa per una settimana, fumo sigarette slim, bevo whiskey giapponese alla sera e resto abbastanza isolata nel mio mondo – e il mio cane diventa il mio principale interlocutore.
Quali sono gli argomenti che trovi più stimolanti da esplorare nel tuo lavoro comico e letterario?
Gli argomenti più stimolanti sicuramente sono il rapporto dei generi, nel senso che è molto interessante come sono cambiate le cose negli ultimi vent'anni e come si è sovvertito il paradigma relazionale tra uomini e donne muovendoci in un universo binario. Questo per me è molto interessante, da affrontare non in maniera didascalica, ma proprio nelle piccole cose: è affascinante la sfumatura in cui si declina questo ribaltamento del rapporto dei generi.
Parlaci del tuo ultimo libro: "Comunismo a Times Square". Cosa ti ha ispirato a scriverlo e come lo descriveresti in tre parole?
Il mio ultimo libro, "Comunismo a Times Square", è ambientato dal 2000 al 2011, prevalentemente a New York, e sono partita da questo immaginario perché volevo scrivere un libro senza la parola Instagram dentro, che avesse anche un lato politico. Questi anni per me sono stati molto importanti perché sono stati gli ultimi anni in cui l'Occidente si è dato un'immagine del proprio futuro. Sono iniziati con il Millennium Bug, le Torri Gemelle, la crisi economica del 2008, Barack Obama fino alla distesa di tende di Occupy Wall Street. E il futuro aveva assunto una dimensione molto iconica, anche attraverso la musica indie rock che era in cima alle classifiche. In questo momento storico penso che avesse molto senso fare un libro in cui si delineasse un'immagine del futuro che ci siamo dimenticati, perché comunque ci muoviamo in un passato prossimo. Il libro indaga anche il crollo dei media tradizionali, era l'attimo prima del Me Too, quindi sono stati degli anni fortissimi e che avevo esigenza di mettere per iscritto.
Descriverlo in tre parole? Visionario, romantico e aspro.
Parlaci del tuo ultimo libro: "Comunismo a Times Square". Cosa ti ha ispirato a scriverlo e come lo descriveresti in tre parole?
Il mio ultimo libro, "Comunismo a Times Square", è ambientato dal 2000 al 2011, prevalentemente a New York, e sono partita da questo immaginario perché volevo scrivere un libro senza la parola Instagram dentro, che avesse anche un lato politico. Questi anni per me sono stati molto importanti perché sono stati gli ultimi anni in cui l'Occidente si è dato un'immagine del proprio futuro. Sono iniziati con il Millennium Bug, le Torri Gemelle, la crisi economica del 2008, Barack Obama fino alla distesa di tende di Occupy Wall Street. E il futuro aveva assunto una dimensione molto iconica, anche attraverso la musica indie rock che era in cima alle classifiche. In questo momento storico penso che avesse molto senso fare un libro in cui si delineasse un'immagine del futuro che ci siamo dimenticati, perché comunque ci muoviamo in un passato prossimo. Il libro indaga anche il crollo dei media tradizionali, era l'attimo prima del Me Too, quindi sono stati degli anni fortissimi e che avevo esigenza di mettere per iscritto.
Descriverlo in tre parole? Visionario, romantico e aspro.
Il mondo della comicità in Italia è sicuramente un mondo molto misogino e a maggioranza maschile; siamo davvero in poche donne a fare stand-up comedy, quindi è molto difficile.
Sei l'esempio che una donna può essere sia bella e cool ma anche divertente. Qual è il ruolo della moda nella tua vita e nel tuo lavoro? E come influisce lo stile sulla tua presenza sul palco?
Io sono un po' contro le filosofie della moda, anche l'idea che i vestiti siano coessenziali alla tua persona: a me piacciono i vestiti perché sono una figlia del tardo capitalismo quindi sono un po' un'accumulatrice. Ma non vedo nell'accumulo di oggetti una dimensione spirituale, mi piacciono i vestiti in quanto oggetti. Quindi sì, ne apprezzo la materialità. Poi nel caso della stand-up comedy mi piace introdurre la moda perché penso che andare a fare un monologo di stand-up comedy vestita come una velina, crei un'incisione di linguaggi. Un collasso di linguaggi che trovo molto interessante, innovativo, quindi mi piace questo sovvertimento del paradigma. Mi piace la moda in quanto si muove in una dimensione puramente estetica e capitalista per me.
Qual è l'evoluzione che vorresti vedere nella tua carriera? Hai progetti in cantiere?
Mi piacerebbe molto lavorare per il cinema, mi vedo in una cosa molto woodyalleniana. Quindi questo sarebbe il mio sogno, ora sto lavorando a un podcast.
Se ti immagini qui a colazione o a un aperitivo con tre personaggi, vivi o morti, reali o immaginari, chi scegli?
Se dovessi fare una colazione con tre personaggi, la farei con Umberto Galimberti, Dolly Parton e Louis Garrel.
Sei l'esempio che una donna può essere sia bella e cool ma anche divertente. Qual è il ruolo della moda nella tua vita e nel tuo lavoro? E come influisce lo stile sulla tua presenza sul palco?
Io sono un po' contro le filosofie della moda, anche l'idea che i vestiti siano coessenziali alla tua persona: a me piacciono i vestiti perché sono una figlia del tardo capitalismo quindi sono un po' un'accumulatrice. Ma non vedo nell'accumulo di oggetti una dimensione spirituale, mi piacciono i vestiti in quanto oggetti. Quindi sì, ne apprezzo la materialità. Poi nel caso della stand-up comedy mi piace introdurre la moda perché penso che andare a fare un monologo di stand-up comedy vestita come una velina, crei un'incisione di linguaggi. Un collasso di linguaggi che trovo molto interessante, innovativo, quindi mi piace questo sovvertimento del paradigma. Mi piace la moda in quanto si muove in una dimensione puramente estetica e capitalista per me.
Qual è l'evoluzione che vorresti vedere nella tua carriera? Hai progetti in cantiere?
Mi piacerebbe molto lavorare per il cinema, mi vedo in una cosa molto woodyalleniana. Quindi questo sarebbe il mio sogno, ora sto lavorando a un podcast.
Se ti immagini qui a colazione o a un aperitivo con tre personaggi, vivi o morti, reali o immaginari, chi scegli?
Se dovessi fare una colazione con tre personaggi, la farei con Umberto Galimberti, Dolly Parton e Louis Garrel.