Federico Rottigni
Giovane e brillante, Federico Rottigni è uno chef pasticciere italiano molto quotato. Il suo mantra è vivere “fuori dagli schemi”. La sua filosofia è la “pasticceria creativa”. Metodico, curioso, amante del bello, “un po’ lunatico”: Federico è un incontro esplosivo di sapori, come i dessert che crea. Oggi vive e lavora in Norvegia. Da qui inizia il suo viaggio introspettivo, confidando una certa nostalgia per la sua città, Milano.
Hai scelto Oslo, in Norvegia, come il luogo ideale per la tua prima esperienza lavorativa all’estero. Come mai proprio questo paese?
Ho bazzicato la Norvegia per due anni per questioni amorose, e da lì mi nacque una sorta di curiosità. La mentalità nordica della tolleranza e dei diritti sociali mi ha sempre incuriosito. Volevo provare! Ed in più avevo la necessità di tirare un pochino il freno dalla routine milanese in cui mi trovavo circa due anni fa e far sedimentare alcuni pensieri che mi ballonzolavano per la testa. L’insieme di queste cose mi ha portato qui.
Che cosa ti manca dell’Italia e di Milano?
Sinceramente l'Italia e Milano mi mancano molto di più di quanto mi sarei mai aspettato. Mi mancano i rapporti umani al primo posto, le piccole cose; mi manca la naturalezza ed il calore delle persone e la grandezza dei piccoli gesti. Mi manca ovviamente il cibo nel suo contesto e devo ammettere che avere un inverno di 9/10 mesi all’anno è oggettivamente non semplice. Cose come bere un caffè al banco, farmi un aperitivo dai miei amici del bar sotto casa o improvvisare una pizza con degli amici 20 minuti prima. Qui tutti gli happenings (molto radi) si organizzano anche con mesi di anticipo.
Nella vita la perfezione non esiste. Ma l’estetica invece sì quella conta. Sono un amante del bello e della bellezza. E sono sempre stato un esteta.
Il tuo primissimo ricordo dietro ai fornelli, a quando risale?
Quando ero piccolissimo, secondo fonti attendibili (mia madre), avevo la mania di aprire i pensili della cucina e tirare fuori tutte le pentole mettendole per terra. Ho ricordi di me bambino, accanto a mia madre o a mia nonna, aiutandole a pulire i cornetti (così Milano chiamiamo i fagiolini) o piccoli lavoretti simili con le verdure. Noi italiani abbiamo la fortuna di crescere immersi nella gastronomia, e generalmente nemmeno ce ne accorgiamo. Perché è semplicemente normale.
Cito da un tuo post Instagram che ritrae: “La maniacalità delle proprie passioni. La coccola dello stare ad osservare in silenzio un dettaglio”. È riassunta qui la tua idea di cucina?
Non solo! Ma posso dire che dice una parte importante. Sono sempre stato un maniaco dei dettagli. Tutto ciò che è manuale mi ha sempre richiamato un innato bisogno di attenzione al gesto. Ma anche nella vita i dettagli mi danno ossigeno. Amo gli accessori, gli oggetti con una storia. Avere nella giacca una penna particolare con una storia o un paio di occhiali unici, sono piccole cose che mi fanno volare a due spanne da terra, senza che gli altri debbano saperlo.
In pasticceria “perfezione” ed “estetica” sono criteri fondamentali. Quanto contano per te nella vita?
La perfezione non molto, in quanto la perfezione è un concetto relativo. La perfezione che prediligo (ed esigo) è tecnica, ma solo traslata al mio lavoro. Nella vita la perfezione non esiste. Ma l’estetica invece si, quella conta. Sono un amante del bello e della bellezza. E sono sempre stato un esteta. Mi piace il vestire, l’arte, le scarpe, gli oggetti, gli occhiali. Mi piace una bella auto, o una bella casa. L’estetica svolge un ruolo molto importante nella mia vita, ed anche direttamente sul concetto di “apparire” di me stesso.
Parliamo invece del “gusto”. Come inventi nuovi accostamenti di gusto? Pensi che oggi alcuni ingredienti o dessert siano più “alla moda” di altri?
Generalmente creo per necessità lavorativa, quindi sotto invito di qualcun’altro, o semplicemente perché me lo sento. Gli accostamenti di gusto generalmente me li immagino. E´ una cosa abbastanza comune, nel tempo, imparare ad immaginare i sapori. Questa è una cosa tipica degli chef dopo anni di esperienza. Può sembrare bizzarra per alcuni, ma penso sia abbastanza comune. Ingredienti alla moda ce ne sono, con dei veri e propri periodi. Quando iniziai a lavorare come pasticcere, era il momento del tè verde matcha, quanto me l’hanno fatto odiare! Quello che cerco di fare sempre è appunto, allontanarmi dall’ingrediente del momento e cercare di usarne degli altri. Mi annoio facilmente.
Fra tutte le tue creazioni, ne esiste una a cui sei particolarmente legato?
Vi sono un paio di accostamenti che ho usato nella mia carriera che a ripensarci mi sono proprio piaciuti. Non sto dicendo che siano unicamente miei (ormai hanno fatto talmente tutto tutti, che alcune volte è davvero difficile darsi dei primati). Come abbinamento goloso adoro una crostata che feci con frolla di farro integrale, composta di fichi, ganache al cioccolato al latte con te earl grey in infuso e fichi freschi. Come abbinamento interessante un dessert al piatto che ho sviluppato qui in Norvegia l’anno scorso, a base di crema di limone, limone amaro candito, polvere di capperi e sorbetto alla verbena. Un’esplosione di acidità, amari, vegetale e salato. Uno schiaffone in faccia a fine pasto!
Approccio maniacale e stile minimale in cucina. Ma che tipo di persona è Federico quando sveste i panni dello chef pasticciere?
Quando lavoro sono metodico. Fuori sono un disordinato e sbadato. Ho perso una lista intramontabile di cappelli, sciarpe, ombrelli, giacche. Sono tendente al minimalismo (less is more) anche nella vita. Sono perennemente in ansia, ma tento disperatamente di essere sempre positivo (ho detto tento). Forse un po’ lunatico (ma non troppo) ed emotivamente molto sensibile. Sono molto dedicato in qualsiasi cosa faccia. E poi sono un leone in gabbia. L’unica cosa è che non ho ancora capito quale gabbia.
Cosa hai imparato dalle partecipazioni a format televisivi?
Innanzitutto mi sono divertito un sacco. Sempre e comunque. La vera riuscita di un programma televisivo è quando chi sta davanti alla telecamera riesce a divertirsi per davvero; perché questo riesce a passare anche inconsapevolmente a casa. Io ho avuto la fortuna di avere varie e diverse esperienze televisive; ma la più divertente di tutte è stata la mia primissima su Real Time, con Il Re del Cioccolato. È stata un’esperienza indimenticabile ed una delle cose più divertenti della mia vita. Noi pasticceri e i ragazzi della troupe siamo quasi diventati una famiglia nel corso delle due stagioni (due anni), tanto che ancora ci sentiamo nelle vite private a distanza di anni. Mi reputo sinceramente un fortunato.
Sei dipendente dal telefono e dai social?
Sono più che dipendente dal telefono, e dai social, avrei detto di sì, ma in realtà li uso anche tanto per lavoro. I social stanno prendendo una piega strana. Forse si stanno un po’ bruciando, sulla linea del “troppo che stroppia”. Sto pensando che forse bisognerebbe tornare a valorizzare la vera essenza di un’esperienza e non solo l’aspetto dell’immagine. I social stanno uniformando un po’ tutto il concetto dell’apparire su molti tematiche, ristorazione in primis. I miei sono ancora pensieri confusi, ma che sicuramente tentano di guardare al prossimo step della mia filosofia come professionista.
Se dovessi fare un bilancio del tuo percorso fino a qui, c’è qualcosa che vorresti cambiare?
Sinceramente? Non cambierei nulla. Forse avrei finito il liceo scientifico e avrei fatto l'università. Ma avrei iniziato troppo tardi a fare ciò che faccio, non avrei retto il colpo e avrei mollato. Quindi in realtà tutto ciò che ho fatto, mi è tornato utile, nel bene e nel male. Forse avrei mandato al diavolo più persone nel mio passato. Ma alla fine mi sono tornate utili dopo, perché mi hanno insegnato una cosa molto preziosa: ovvero cosa NON diventare. Quindi alla fine mi tocca ringraziare anche loro.
Quali sono i tuoi sogni ancora da realizzare?
Ho tanti sogni. Sicuramente quello di darmi una calmata come persona. Vivo sempre a 200km/h e forse dovrei imparare a vivere il mio lavoro e la mia vita anche con più spensieratezza. Mi piacerebbe trovare una chiave per poter esprimere la mia idea di pasticceria creativa, facendo divertire e facendo un lavoro trasversale a quella che è l’idea di pasticceria tradizionale oggi in Italia. Sia come materia in sé, sia come concetto sensoriale ed esperienziale. E perché no, magari farlo in uno spazio tutto mio. Sicuramente mi piacerebbe tornare un giorno a Milano. Milano sta diventando troppo bella!.